Prima di partire non sapevamo quanto ci avrebbe cambiato il nostro Charity Work Program tra i bambini del Giardino degli Angeli di Canavieiras in Brasile. Un’oasi felice in un contesto di estrema povertà, dove ciò che conta davvero è non lesinare affetto
di Ilenia Caia, Erika Valtulina e Erica Sacchetti *
Il primo giorno al “Giardino degli Angeli” è stato come respirare una boccata di aria fresca. Un posto allegro, colorato con tantissimi bambini sorridenti e affettuosi che ci sono corsi incontro abbracciandoci al grido di “Tia! Tia! Tia!” (zia). Durante la prima mattinata seguivamo le lezioni e il programma dell’asilo, aiutando le maestre nelle loro attività quotidiane il più possibile. Numeri, lettere, disegni e colori: in fondo, la scuola materna non sembrava così diversa da quelle italiane.
Durante il pomeriggio collaboravamo con le maestre nei corsi del dopo scuola: un’attività ben strutturata, che non solo aiuta i bambini a rafforzare i concetti imparati a scuola, ma li fa anche sfogare grazie ad attività ricreative come sport di gruppo, musica, judo, inglese e capoeira. I bambini, dai 6 agli 11 anni, ci hanno accolto tra mille sorrisi e mille domande, facendoci sentire le benvenute.
Il Giardino degli Angeli ci è sembrato un’oasi felice, soprattutto in confronto con la realtà in cui vivono i bambini. Ce ne siamo accorte quando abbiamo iniziato ad accompagnare con le nostre biciclette la direttrice del Giardino, Regina, nelle visite alle famiglie. Dopo la prima volta ci siamo accorte di quanto profondamente diverse le cose fossero da come le immaginavamo. Abbiamo visitato case piccole, misere e diroccate. Abbiamo visto bambini camminare scalzi tra il fango e le pozzanghere. Abbiamo aperto gli occhi. Ancora adesso fatichiamo ancora a credere quei bimbi bellissimi e felici possano vivere in un ambiente del genere.
Da quel momento abbiamo realizzato come Canavieiras sia un luogo di contrasti: da un lato i paesaggi da cartolina, le casette colorate vicino al porto e la musica per le strade; dall’altro la povertà, le vie sterrate e i bambini senza scarpe. E, quei bimbi che vedevamo così sorridenti all’asilo, a casa cambiavano espressione e perdevano il loro entusiasmo.
Ci siamo chieste come il nostro semplice aiuto quotidiano potesse fare la differenza di fronte a problemi familiari insormontabili. Pensavamo: “Come facciamo a dare di più? Cosa possiamo fare per loro? Come renderli felici?”.
La risposta è arrivata il giorno i cui abbiamo partecipato alla riunione tra docenti e genitori. Regina ci ha presentate ai pochi familiari presenti e quello che ha detto ci ha profondamente colpite. Ha descritto il nostro aiuto all’asilo e al doposcuola come essenziale, ci ha fatto sentire importanti, nonostante la nostra impressione di non riuscire mai a fare abbastanza. Ci ha fatto sentire parte di quella piccola ma grande famiglia. Ci ha fatto capire quanto la nostra semplice presenza fosse fondamentale. Perché l’unica cosa che quei bambini ci chiedevano, al di là di tutto, era il nostro affetto.
Quando siamo partite non avevamo idea che questa esperienza ci avrebbe cambiato così tanto, non sapevamo che riuscire a far sorridere un bambino valesse più di qualunque cosa al mondo, non credevamo che avremmo ricevuto così tanto. Perché se c’è una cosa che abbiamo imparato in queste tre settimane è che dare è ricevere, e non c’è cosa più bella.
* Ilenia Caia, 25 anni, di Belluno, studentessa del secondo anno della laurea specialistica di Comunicazione per le imprese, i media e le organizzazioni complesse (Cimo); Erika Valtulina, 22 anni, di Sotto il Monte Giovanni XXVII (Bg), laureata alla triennale in Relazioni Internazionali; Erica Sacchetti, 24 anni, di Milano, studentessa del secondo anno della laurea specialistica in Politiche pubbliche – campus di Milano