Gaia, studentessa di Scienze politiche e sociali, ha visto cosa c’è dietro il Paese delle spiagge bianche: la povertà dei bambini accolti e protetti dal “Giardino degli Angeli” ma anche la determinazione di chi lotta, con gioia, perché le cose cambino
di Gaia Calcaterra *
È ancora un po’ strano svegliarsi la mattina e non percorrere in bicicletta la strada principale di Canavieiras: non vedere le strade di terra rossa che avevamo imparato a conoscere, arrivare all’asilo “Giardino degli angeli” ed essere subito accolte dalle voci dei bambini che chiamavano “O tia!” (“zia”), per poi chiedere semplicemente di essere rincorsi, spinti sull’altalena, presi in braccio oppure di sedersi accanto a loro, in classe o durante la merenda del mattino (“Tia, sentar aqui”).
È strano non vederli più impegnati a colorare, cercare di imparare a comporre le lettere dei loro nomi o scrivere i primi numeri su un foglio e poi mostrarti fieri il risultato.
È strano non entrare più in cucina prima di pranzo e aiutare la cuoca Sara a preparare i piatti per i bambini, vederla cantare e scherzare con noi, sempre allegra, e anche cercare di insegnarmi a ballare la samba, nonostante io fossi completamente negata.
Il primo giorno, svoltando l’angolo e imboccando la strada per raggiungere l’asilo, li abbiamo visti, già da lontano, fuori dal cancello ad aspettarci, con gli occhiali da sole e le trombette colorate. Quando ci siamo avvicinate, ci hanno subito circondate e abbracciate, nonostante non ci avessero mai viste. Non ci aspettavamo minimamente un’accoglienza di questo genere: ma questo è stato il denominatore comune dell’intera esperienza, perché nessuna persona che abbiamo conosciuto, a partire da Regina, la direttrice dell’asilo, e dalle insegnanti dell’asilo e del doposcuola, ci ha mai fatte sentire come persone estranee o appena arrivate in una realtà che non conoscevano. Al contrario, tutti ci hanno fatto sentire coinvolte in ogni attività che si svolgesse all’asilo, come se facessimo già naturalmente parte di quella realtà.
Dopo i primi giorni, in cui mi sentivo a tratti spaesata e non capivo sempre quello che mi era richiesto, abbiamo imparato a conoscere la routine della giornata, ben scandita nei suoi diversi momenti, e a capire come muoverci e cosa fare. Così le giornate hanno cominciato a susseguirsi in maniera sempre più naturale e veloce: dopo la mattinata trascorsa con i bambini più piccoli, dalle 13 ci aspettavano i bambini del doposcuola, con un’età compresa tra i 6 e gli 11 anni suddivisi in tre classi.
Il nostro compito era aiutarli nelle diverse attività, come matematica, inglese o portoghese, dove però il rapporto si invertiva ed erano più loro che cercavano di insegnare a noi nuove parole e parlavano lentamente, così che riuscissimo a capire.
La realtà di Canavieiras, però, non coincide con quella serena e gioiosa dell’asilo e del doposcuola né con quella dei chilometri di spiagge bianche e delle casette colorate che circondano la zona del porto: quando hai a che fare con bambini e ragazzi in un ambiente protetto, come quello dell’asilo, è difficile poi realizzare che, per il resto della giornata, sono calati in una realtà completamente diversa, fatta di difficoltà economiche, case senza acqua o energia elettrica, situazioni familiari complicate e problemi legati all’uso di droghe e alcol.
Ci siamo rese conto di questo quando, due volte alla settimana, accompagnavamo Regina a far visita alle famiglie dei bambini e la vedevamo confrontarsi con loro, fare domande e incoraggiarle ad andare avanti. Durante queste visite ho conosciuto persone con una forza incredibile, che, nonostante avessero vissuto grandissime difficoltà e subito molte perdite, continuano a vivere, giorno per giorno, con il sorriso e la speranza che le cose possano migliorare.
È stato davvero bello, oltre che una grandissima fonte di ispirazione, vedere come Regina e tutte le persone che abbiamo conosciuto si impegnino a fondo per rendere le cose davvero migliori, per portare nella città un cambiamento che si mantenga nel tempo, intervenendo proprio sui più giovani e sulle ultime generazioni, per far sì che abbiano nuove e migliori opportunità per realizzarsi e per dare loro la possibilità di avere un futuro più luminoso.
* 23 anni, di Mesero (Mi), primo anno del corso di laurea magistrale Politiche per la cooperazione internazionale allo sviluppo, facoltà di Scienze politiche e sociali(a destra nella foto in alto)